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Petrolio in calo: perché i prezzi sono scesi così tanto da inizio agosto

  • rizziandrea4
  • 16 ott
  • Tempo di lettura: 3 min

Dall’inizio di agosto, il prezzo del petrolio ha perso terreno in modo costante e marcato. Il Brent è sceso da circa 74 dollari al barile il 1° agosto a poco sotto i 62 dollari nella seconda settimana di ottobre: una discesa di circa –16 % in due mesi. Anche il WTI americano ha seguito un andamento analogo, da 70 a circa 57,7 dollari nello stesso periodo. Solo a inizio estate il mercato sembrava orientato verso una risalita stabile, sostenuto da tagli OPEC+ e da previsioni di domanda robusta. In poche settimane, però, il contesto è cambiato completamente.


La correzione del petrolio non nasce da un singolo shock, ma da una combinazione di offerta in aumento, domanda in rallentamento e un sentiment di mercato più prudente che ha spinto molti operatori a ridurre le posizioni speculative.


1. L’OPEC+ riapre i rubinetti


Per mesi, il cartello dei paesi produttori aveva sostenuto i prezzi con tagli volontari destinati a riequilibrare il mercato. Ma a fine luglio, l’OPEC+ ha annunciato che avrebbe rimosso gradualmente i tagli per circa 2,2 milioni di barili al giorno entro settembre.

Questo ha immediatamente cambiato la percezione del mercato: la prospettiva di un ritorno di volumi così elevati ha generato timori di eccesso di offerta, soprattutto in un momento in cui la domanda mostrava segnali di indebolimento.


Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), la produzione mondiale ha superato i 102 milioni di barili al giorno, mentre la domanda nello stesso periodo è rimasta più bassa. Con l’offerta che supera la domanda, il prezzo tende inevitabilmente a scendere: è la legge più semplice ma più implacabile del mercato.


2. Scorte in aumento e segnali di domanda debole


Le scorte americane di greggio sono cresciute per diverse settimane consecutive tra agosto e settembre, segno che i consumi reali non tengono il passo con la produzione. In parallelo, i dati macroeconomici globali mostrano un rallentamento: in Europa la produzione industriale tedesca è scesa del –3,9 % ad agosto, la Cina continua a registrare un calo nella domanda interna, e negli Stati Uniti i tassi d’interesse elevati hanno ridotto la spesa privata.


La combinazione di questi elementi ha alimentato il timore di una domanda energetica più debole nei prossimi trimestri. E quando il mercato percepisce che il consumo rallenta, tende ad anticipare le mosse future, portando i prezzi verso il basso anche prima che la domanda effettiva cali davvero.


3. Il dollaro forte


Un altro fattore chiave è la forza del dollaro USA.Tra settembre e ottobre, l’indice del dollaro (DXY) è salito di oltre il +2 %, spinto dalle aspettative di tassi ancora elevati da parte della Federal Reserve. Poiché il petrolio è quotato in dollari, un biglietto verde più forte rende il greggio più costoso per chi compra in altre valute, riducendo la domanda internazionale e spingendo ulteriormente i prezzi al ribasso.


4. La tregua tra Israele e Hamas: effetto quasi nullo


La fragile tregua tra Israele e Hamas, annunciata come un primo passo verso una pace duratura, ha avuto un impatto minimo sul mercato del petrolio. È vero che un cessate il fuoco può ridurre il cosiddetto “premio di rischio geopolitico”, ma in questo caso l’effetto è stato marginale: la discesa del petrolio era già iniziata settimane prima dell’accordo e si spiegava con fattori economici molto più concreti.


Le stime di Rystad Energy indicano che l’attenuazione del rischio Medio Oriente ha inciso meno del 2 % sul prezzo del Brent — una variazione del tutto insufficiente a giustificare la correzione di oltre dieci dollari al barile registrata tra agosto e ottobre. In altre parole, la “pace” non ha fatto scendere il petrolio: ha solo tolto un leggero premio di tensione che, in uno scenario di surplus, è passato in secondo piano.


In sintesi

La discesa del petrolio da agosto non è stata causata da fattori emotivi o politici, ma da un riequilibrio economico: troppa offerta, domanda debole e un dollaro forte. La tregua israelo-palestinese è solo una nota marginale in uno scenario dominato da dinamiche di mercato molto più solide. L’oro nero, insomma, piove dal cielo come nelle illustrazioni simboliche, ma per ragioni che hanno più a che fare con l’economia reale che con la geopolitica.

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