Stop loss e take profit: proteggersi dalle emozioni
- rizziandrea4
- 13 ore fa
- Tempo di lettura: 4 min
Ogni trader sa che il vero nemico non è il mercato, ma sé stesso. La paura di perdere e l’avidità di guadagnare sono le due forze che più spesso portano a errori costosi. Per questo esistono gli strumenti più semplici — ma anche più fraintesi — della gestione del rischio: stop loss e take profit. Due ordini automatici che dovrebbero rendere il trading più razionale, ma che, se mal calibrati, finiscono per amplificare proprio ciò che dovrebbero contenere: l’emotività.
Chi opera in giornata e chi tiene posizioni più a lungo
La differenza tra chi apre e chiude un’operazione nella stessa giornata (day trader) e chi invece la mantiene per più giorni o settimane (swing trader) è fondamentale. Il primo vive di micro-movimenti: lavora su variazioni anche di 0,2–1,0%, spesso con leva, e quindi deve impostare stop loss stretti per non compromettere il capitale in poche ore. Un errore di tempismo o una notizia improvvisa possono cancellare in un attimo una giornata intera di profitti.
Chi opera su orizzonti più lunghi, invece, ragiona su movimenti di 2–5% o più, e quindi può permettersi livelli più ampi, lasciando respirare il prezzo. Ma proprio questa apparente “tranquillità” nasconde un rischio psicologico: l’illusione di avere tempo per decidere, che spesso porta a non intervenire mai.
Piccoli livelli: precisione o trappola?
Impostare stop loss e take profit ravvicinati — ad esempio entro l’1% dal prezzo d’ingresso — può sembrare prudente, ma in mercati volatili è una trappola frequente. Basta un normale “rumore” di prezzo, una candela di volatilità, per far scattare l’ordine e poi vedere il mercato tornare nella direzione prevista. È la frustrazione classica di chi vede lo stop colpito “per pochi tick”. D’altro canto, livelli stretti impongono disciplina e consentono di limitare le perdite massime: se un trader riesce a mantenere una probabilità di successo del 60% con gli stessi importi di guadagno e perdita (sto semplificando, è per far capire il concetto... consideriamo più del 50% perché una parte va via in commissioni e costi di gestione vari), può crescere in modo costante.
La chiave è non impostare stop fissi, ma adattivi, coerenti con la volatilità media dell’asset. Se il DAX si muove mediamente del 0,75% al giorno, uno stop dello 0,3% può non avere senso: è come voler frenare un’auto sportiva con il freno a mano.
Grandi livelli: spazio o autoinganno?
All’estremo opposto, ci sono gli stop larghi: –5%, –10% o più. Sono utili solo se si opera senza leva e con un capitale parzialmente investito. Consentono di sopravvivere alle oscillazioni normali del mercato e di evitare uscite premature. Ma per chi usa leva o margini ridotti, uno stop troppo distante può equivalere a non averlo affatto: il rischio diventa esponenziale.
I rischi di non applicarli
Non avere stop loss né take profit significa lasciare che il mercato o le emozioni decidano al posto nostro. Chi non ha uno stop definito tende a “sposare” la posizione, a sperare che il mercato si riprenda, trasformando un piccolo errore in una ferita profonda. Nel 2022, con il crollo del Nasdaq di circa –33% da gennaio a ottobre, moltissimi investitori retail hanno visto titoli raddoppiare le perdite perché non avevano limiti di uscita. Lo stesso accade sul Forex o sulle materie prime, dove movimenti improvvisi del 2–3% in una notte possono spazzare via un conto a margine.
Senza take profit, invece, il rischio è di non accontentarsi mai: il prezzo tocca il target ideale, ma si aspetta “ancora un po’”. Il risultato è che spesso si chiude con un risultato modesto o addirittura in pareggio/perdita.
I rischi di applicarli male
Anche applicarli ciecamente può essere pericoloso. Molti trader fissano lo stop a una distanza standard — ad esempio sempre al –1% — senza considerare la volatilità del titolo, il contesto macro, o la correlazione con altri asset. È un approccio meccanico, ma non razionale. Lo stop loss dovrebbe essere una conseguenza dell’analisi, non un’abitudine. Allo stesso modo, impostare take profit troppo rigidi rischia di soffocare i guadagni: se ogni trade viene chiuso con un modesto +0,5%, ma le perdite restano del –1%, anche con un’alta percentuale di successi si va in rosso.
Guardare il grafico, ma capire il mercato
Un errore ancora più profondo è fissarsi solo sul grafico e ignorare ciò che accade fuori da esso. Un pattern tecnico o una candela possono sembrare promettenti, ma se il giorno dopo escono i dati sull’inflazione o un discorso della Fed, il contesto cambia completamente. I mercati non sono linee colorate: sono la somma di politiche monetarie, flussi di capitale e aspettative. Chi si concentra solo sul grafico rischia di confondere il rumore con il segnale — e di impostare stop o take profit nel punto peggiore possibile.
In sintesi
Stop loss e take profit non sono strumenti per indovinare il futuro, ma per sopravvivere al presente. Servono a gestire l’incertezza, non a eliminarla. Il vero vantaggio nasce dall’uso consapevole: livelli coerenti con la volatilità, calibrati sul proprio orizzonte temporale e sempre accompagnati da una visione d’insieme del mercato. Perché la protezione più efficace non è un ordine automatico: è la lucidità di chi riesce a separare il prezzo dalle emozioni.